di Valeria Ribaldi
Il fotografo Rocco Rorandelli del collettivo TerraProject ha lanciato sulla piattaforma di crowdfunding Kickstarter, la campagna per sostenere la realizzazione del libro ‘Bitter Leaves‘, un volume che raccontare 10 anni di lavoro sull’industria globale del tabacco.
Valeria Ribaldi l’ha intervistato per capire come è nato e come si è sviluppato questo progetto.

Dipali Lohar durante la raccolta del tabacco a Nipani, India. Qui il 70% delle entrate fiscali derivano dal tabacco per bidi. In India, circa due milioni di persone sono impegnate nella raccolta delle foglie e 4,4 milioni di persone impiegate direttamente nel bidi. La natura informale di questo settore impedisce ai lavoratori di essere organizzati in sindacati.
C’è stato qualcosa di particolare, una vicenda o uno studio scientifico che ti ha portato a scegliere questa tematica nel 2008?
Bitter leaves nasce da una mia vicenda personale, la morte di mio padre per una malattia legata al fumo. Nei mesi successivi alla sua scomparsa lessi decine di report scientifici ed articoli sull’industria del tabacco. Mi resi conto che dietro l’apparente semplicità di una sigaretta c’era molto da raccontare: una realtà globale, che dà lavoro a milioni di persone ma che, al tempo stesso, fonda le proprie radici sullo sfruttamento dei lavoratori e dell’ambiente. E questo è vero sia nelle economie emergenti che in Occidente. Fu in quel momento che capii come una vicenda personale poteva trasformarsi in un lavoro “universale”.
Questo lavoro è nato subito come un progetto a lungo termine?
Si, è un progetto che sin da subito decisi di declinare in modo approfondito, identificando le tematiche da trattare, i paesi che volevo visitare, e scrivendo un schema progettuale che mi avrebbe portato in America, Asia, Africa ed Europa.
Hai ricevuto finanziamenti per portare avanti un lavoro che è durato 10 anni?
I primi viaggi li ho realizzati senza alcun sostegno economico esterno, poi sono iniziati ad arrivare assignment, e la maggior parte dei finanziamenti li ho ricevuto dalle vendite dei vari capitoli che via via producevo, pubblicando su riviste italiane ed estere: Io Donna, L’Espresso, Newsweek, GEO France, Le Monde, Internazionale, ed altre. Per il capitolo svolto negli Stati Uniti, dove mi sono concentrato sul documentare l’esistenza di un racket di bambini senza documenti che lavorano per i grandi proprietari di terreni, ho ricevuto un grant dal ‘Fund for Investigative Journalism’. Poi l’OMS e varie ONG mi hanno sostenuto in vario modo.

La linea di produzione della fabbrica di sigarette Hongta a Yuxi, in Cina. L’azienda sostiene che questa è la linea di produzione di sigarette più avanzata al mondo, con robot completamente automatizzati e rollatrici italiani. Nello stabilimento di Yuxi vengono prodotte oltre 135 miliardi di stecche all’anno, coprendo il 12% della produzione totale della Cina.
Hai visitato moltissimi paesi, quali sono le differenze di approccio alle problematiche legate alla produzione e al consumo di tabacco nelle diverse aree geografiche?
In ogni paese che ho visitato mi sono concentrato su alcuni aspetti specifici dell’industria, permettendomi, una volta ultimato il progetto, di fornire una visione complessiva.
In Indonesia mi sono concentrato sui fumatori, specialmente quelli più giovani. Nel paese asiatico infatti il 41% dei bambini tra 13 e 15 anni fuma, ed il loro numero è raddoppiato negli ultimi 10 anni. L’Indonesia è uno dei pochi paesi che non ha firmato la convenzione per il controllo del fumo dell’OMS, il che significa che le sigarette costano poco e che la pubblicità è ancora permessa.
Negli USA ho documentato la presenza di bambini che lavorano nei campi di tabacco e che soffrono di un’intossicazione chiamata Green Tobacco Sickness. Inoltre gli Stati Uniti sono la culla della moderna industria del tabacco, e in Virginia e North Carolina viene celebrata con musei, ricostruzioni storiche e trasformazione di vecchie aree industriali.
In Italia ho lavorato sul mercato illecito delle sigarette, sugli effetti sulla salute dei fumatori, e sulla coltivazine di tabacco sia da sigarette che da sigari.
In Cina, primo produttore e consumatore di sigarette al mondo, ho voluto concentrarmi sull’aspetto industriale, sui centri di ricerca, sui parchi a tema che celebrano la storia del tabacco, ma anche sulle ridotte ricadute economiche per contadini e lavoratori.
In Bulgaria ho raccontato la storia della minoranza musulmana dei Pomacchi che vivono sui monti Rodopi e per i quali la coltivazione del tabacco rappresenta la principale risorsa economica ma che vengono sfruttati dagli intermediari, che sottopagano il prodotto.
In Nigeria, una delle economia a crescita più rapida, terreno fertile per le aziende di sigarette, l’industria del tabacco utilizza aggressive strategie di lobbying per evitare l’inasprirsi di leggi che controllano la diffusione del fumo.
In India invece la maggior parte dei fumatori – circa 120 milioni – utilizza beedi, sigarette fatte a mano in cui il tabacco è avvolto in una foglia di una specie vegetale locale. L’industria non è regolamentata dal governo centrale, e questo è alla base dello sfruttamento dei lavoratori stagionali e delle donne che rollano i beedi.

Tabacchi confiscati nell’ex manifattura tabacchi di Benevento.
Quanto conta la componente culturale ed educativa rispetto anche alle questioni economiche che sono legate alla produzione e commercializzazione del tabacco?
In Cina per esempio un programma della provincia di Yunnan ha sostenuto gli agricoltori che desideravano abbandonare la coltivazione di tabacco e passare ad altre colture, spesso creando cooperative. In questo modo gli introiti sono aumentati, così come la sicurezza alimentare. Questo ci fa capire che l’educazione è importante, ma anche l’esistenza di politiche che favoriscano lo sviluppo. Lo stesso vale per la commercializzazione del tabacco. Vanno messe in atto politiche di controllo, oltre a programmi di educazione alla salute e al consumo critico.
Come è nata la collaborazione con Judith Mackey e che ruolo ha nel tuo libro?
Judith è una delle autrice del Tobacco Atlas, il più esaustivo studio sull’industria globale del tabacco. Sin da subito i suoi suggerimenti hanno guidato la mia ricerca, ed il suo coinvolgimento nel progetto editoriale mi è sembrato la naturale continuazione della nostra collaborazione. Tutte le infografiche sono nate sotto la sua guida e con lei abbiamo revisionato tutte le didascalie, assicurandoci che fossero corrette e presentassero dati e stime recenti.

Pacifici Serenella, 71 anni, nel reparto di chirurgia dell’Istituto Europeo di Oncologia, in attesa di essere operata per un cancro ai polmoni.