Fotografia. La lontana etimologia di questo termine proviene dal greco antico:
phos (luce) + graphia (scrittura). Significa letteralmente scrivere con la luce, di/segnare con la luce. Cosa succede però, quando la luce non è quella normale ma quella ultravioletta di una luce multi-spettro?
Ecco quello che hanno fatto Marco Casino e Pietro Baroni – foto- e videografi documentaristi – nel loro progetto Pandemic Stains, che svela ai nostri occhi le nostre stesse tracce biologiche. Ovunque intorno a noi.
Le foto risalgono ad aprile-maggio 2020, durante i duri mesi del primo lockdown. Marco e Pietro girano per una Milano deserta e terrorizzata, rintracciando
il fosforo di impronte, saliva, sudore ed altri materiali organici.
Invisibili all’occhio umano nudo, queste “macchie pandemiche” vengono invece diffratte dalle frequenze della luce multi-spettro – solitamente usata per le indagini dalla polizia scientifica – e catturate nelle immagini.
I luoghi e gli oggetti – anche quelli più familiari e che ci appaiono “meno pericolosi” – improvvisamente ri/scoperti sotto una nuova luce.
‘Pandemic Stains’ attrae e repelle ma non è un progetto prettamente scientifico. L’obiettivo principale infatti è sfidare la nostra percezione della realtà per farci riflettere su di essa – non prima di averci procurato una massiccia dose di shock però. Sfidare la nostra percezione del virus e della quotidianità durante la pandemia di COVID-19 – evento iper-mediatico ed iper-narrato – e stimolare la discussione collettiva sugli effetti psicologici nella sfera personale, privata, lavorativa e pubblica.
I due fotografi hanno lanciato una campagna di crowdfunding per finanziare la produzione del libro che raccoglierà queste immagini. Per l’occasione verrà stampata con inchiostro UV anche un’altra serie di scatti (‘Ultra Flowers’): cartoline di ritratti botanici fluo-reagenti, consegnati insieme ad una piccola torcia di Wood.
Qual è stata la vostra reazione alle immagini?